Nascita della prosa e della poesia volgare in Italia
- Rossana

- 17 lug
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Aggiornamento: 21 lug

Nascita della prosa e della poesia volgare in Italia
In questo post vedremo come è nata la prosa e la poesia volgare in Italia.
La retorica e la nascita della prosa volgare in Italia
Nella società comunale italiana, la retorica assunse un ruolo cruciale, rispondendo alla necessità di una partecipazione civica e di un corretto uso della parola nelle istituzioni.
Scuole prestigiose come quelle di Bologna e Arezzo divennero centri formativi per i ceti amministrativi. Dalle esigenze pratiche legate al lavoro notarile, l'insegnamento retorico si estese anche al volgare.
A Bologna, Boncompagno da Signa fu un autore di manuali latini (ars dictandi), mentre Guido Faba fu il primo a inserire composizioni in volgare nei suoi manuali, diventando il precursore di una prosa volgare retorico-letteraria, applicata soprattutto all'epistolografia e all'oratoria (es. De filio ad patrem pro pecunia).
I principali promotori della prosa italiana furono i fiorentini Brunetto Latini e Bono Giamboni, e il toscano Guittone. Brunetto Latini, in particolare, diede un contributo determinante. Notaio ed esule in Francia, tradusse in volgare parte del De inventione di Cicerone, affermando l'esigenza di ordine, chiarezza e comunicabilità.
Egli incarnò la figura dell'intellettuale civile, che univa l'attività letteraria e politica, applicando il sapere a un giudizio morale sul mondo, un insegnamento fondamentale per Dante. Le sue opere principali sono il Tresor (enciclopedia in francese) e il Tesoretto (poemetto didattico-morale in toscano).
La poesia didattica volgare dell'Italia settentrionale
Nella prima metà del '200, una serie di poeti attivi nell'Italia settentrionale si distinse per la poesia didattica volgare, caratterizzata da temi morali o religiosi comunicati in modo diretto e semplice, usando dialetti locali e adattando strutture romanze (come il verso alessandrino) e latine.
Questa poesia era omogenea per materia, pubblico (i cittadini comuni con una pietà elementare basata sulla paura della dannazione, la moderazione e il rispetto delle gerarchie), area geografica (Lombardia e Veneto) e forme metriche, che generavano un ritmo lento e monotono.
Tra questi poeti si annoverano l'Anonimo veneto (Proverbia, contro le donne), Girardo Patecchio (Noie, elenco di cose fastidiose), Uguccione da Lodi (Libro, descrizione delle pene infernali), Giacomino da Verona (poemetti escatologici) e l'Anonimo genovese (poesie pedagogiche e polemiche).
La tradizione fu nobilitata da Bonvesin de la Riva, maestro di grammatica a Milano, fedele al modello comunale e autore prolifico in volgare settentrionale, con opere moraliste e narrative destinate alla borghesia (es. Laudes de virgine Maria, De pirrata).
La Scuola Poetica Siciliana
Tra il 1230 e il 1250, presso la corte di Federico II (Magna Curia) nacque la scuola poetica siciliana, il punto d'inizio della tradizione poetica italiana. Questi poeti, spesso funzionari imperiali, crearono una lirica cortese in volgare siciliano, influenzata dai modelli provenzali ma con alcune differenze significative. I riferimenti a fatti concreti o persone identificabili, tipici della poesia provenzale, furono eliminati, e la tematica amorosa si spostò su un piano più astratto ed elevato.
La poesia siciliana, pur avendo una funzione sociale e affrontando la tematica amorosa dal punto di vista feudale (la donna come "signora" da servire), si distingueva per la concezione del vedere come tramite principale dell'amore, con un repertorio di immagini e metafore legate alle visioni. L'esperienza poetica era vista come nobilitante. Sebbene nobile e letteraria, questa poesia mostrava anche una propensione per tematiche più leggere e giocose, spesso attraverso la canzonetta.
Il linguaggio dei poeti siciliani era caratterizzato da provenzalismi (uso di suffissi, voci semanticamente provenzali, doppietti fonomorfologici) e latinismi. La questione della lingua originale dei siciliani è complessa: i copisti toscani, trascrivendo i canzonieri, toscanizzarono i testi, creando l'illusione di una lingua vicina al toscano. Tuttavia, studi filologici successivi hanno evidenziato i tratti linguistici originali siciliani (forme non dittongate, diverso trattamento delle vocali toniche e atone, mantenimento del dittongo au, condizionale in -ia, dittologia sinonimica). Le rime, originariamente perfette in siciliano, subirono modifiche nelle trascrizioni toscane, dando origine alla "rima siciliana".
La corte di Federico II, centro di molteplici saperi e tradizioni (latina, araba, normanna, greco-bizantina, tedesca), sostenne lo sviluppo della poesia in volgare siciliano, dimostrando la capacità unificante del potere imperiale. I maggiori poeti siciliani erano funzionari imperiali, e la lingua amministrativa e diplomatica era curata con uno stile solenne e ricercato.
Tra i principali esponenti della scuola siciliana si annoverano:
Il notaio Giacomo da Lentini, inventore del sonetto, che espresse elegantemente la gioia e il turbamento dell'amore, definendolo come desiderio suscitato dalla bellezza (Meravigliosamente, Dolce coninzamento).
Pier della Vigna, maestro di prosa aulica e funzionario di Federico II (Amando con fin core, Lettera a Federico II).
Guido delle Colonne, giudice messinese, autore di canzoni auliche (Ancor che l'aigua).
Stefano Protonotaro, la cui canzone Pir meu cori alligrari è l'unico componimento giunto a noi integralmente nella sua veste siciliana originale.
Re Enzo, figlio di Federico II (Dolze meo drudo, Amor mi fa sovente).
Giacomino Pugliese e Rinaldo d'Aquino.
La parodia dell'amore cortese: Il contrasto di Cielo d'Alcamo
Un esempio singolare di parodia dell'amore cortese è il Contrasto di Cielo d'Alcamo (Rosa fresca aulentissima), databile agli anni '30-'40 del '200. Questo dialogo tra un giullare e una fanciulla, con un fondo linguistico siciliano e elementi campani, mette in scena un corteggiamento in cui la ragazza, inizialmente reticente, cede progressivamente. L'autore mostra un'eccezionale padronanza delle formule cortesi, usandole in un'ambientazione comica per parodiare il linguaggio e gli ideali dell'amore cortese, facendo emergere il desiderio sessuale, la menzogna e l'inganno in un contesto quotidiano.
I poeti siculo-toscani e il Dolce Stil Novo
La morte di Federico II pose fine all'ambiente cortigiano che aveva favorito la lirica siciliana. La poesia volgare si trapiantò nell'Italia comunale, in particolare in Toscana, dove i poeti siculo-toscani adattarono la lirica cortese a un pubblico comunale e aristocratico. La tematica si allargò oltre l'amore, e si stabilirono contatti più diretti con la poesia provenzale. A livello linguistico, si diede spazio a forme dialettali toscane, provenzali e latine, e il sicilianismo divenne un elemento distintivo. Questi poeti rappresentano una fase di transizione tra la scuola siciliana e gli stilnovisti.
Guittone d'Arezzo (1235-1294), il più grande poeta toscano prima di Dante, fu un fervido sperimentatore. Immettendo nel toscano le tradizioni linguistiche precedenti (francese, provenzale, siciliana), le rinnovò attingendo al latino e al dialetto aretino, sviluppando un gusto per forme foneticamente aspre (trobar clus) e introducendo temi civili e religiosi (Lauda per San Domenico, Ahi lasso, or è stagione de doler tanto). La sua vasta produzione include poesia amorosa (che esplora sia la gioia e il dolore sia una spregiudicata realisticità) e poesia civile e morale. Le sue lettere in prosa sono tra le prime manifestazioni di una prosa d'arte in volgare.
Tra i rimatori siculo-toscani che si ispirarono a Guittone troviamo Bonagiunta Orbicciani (che cercò una maggiore semplicità), Panuccio dal Bagno, Chiaro Davanzati, Monte Andrea, Dante da Maiano, Paolo Lanfranchi e l'unica poetessa nota dell'epoca, la Compiuta Donzella di Firenze.
Il Dolce Stil Novo non fu una scuola, ma un insieme di esperienze convergenti che crearono una nuova poesia d'amore di grande coerenza linguistica e ambizione intellettuale, distaccandosi dallo sperimentalismo confuso della lirica cortese municipale. Il discorso amoroso divenne più filosofico. Guido Guinizzelli (Bologna, 1240-1276) è considerato il padre di questa nuova poesia, che trovò a Firenze, con Cavalcanti e Dante, una definizione più articolata.
Il termine "dolce stil novo" deriva da Dante nel Canto XXIV del Purgatorio, dove Bonagiunta Orbicciani lo usa per descrivere la "nuova maniera dolce" di Guinizzelli, poi continuata da Cavalcanti e Dante stesso. I concetti chiave sono:
la novità dell'atteggiamento verso l'amore: l'amore "spira" nell'anima, creando un movimento intellettuale.
il "dittare dentro": il poeta deve tradurre in termini linguistici questo movimento interiore, essendo un fedele e razionale trascrittore del dettato d'amore. La "dolcezza" del linguaggio è intrinsecamente legata all'azione dell'amore nell'anima.
Ii distacco dalla precedente poesia cortese è dato dalla nuova associazione tra dolcezza stilistica e significazione razionale, con una forte coscienza teorica e filosofica.
Le fonti dello Stil Novo spaziano dal De Amore di Andrea Cappellano al neoplatonismo, a Tommaso d'Aquino e agli averroisti. Particolare attenzione è rivolta ai dibattiti morali sulla nobiltà, dove l'amore e la poesia appaiono come caratteri distintivi di un'élite (i "fedeli d'amore") che non si definisce per collocazione sociale, ma per una scelta ideale e una passione letteraria assoluta, slegandosi da istituzioni o ceti.
Il rapporto amoroso stilnovistico è fatto di fuggevoli incontri in un contesto urbano, spesso in una dimensione corale tra amici (i "fedeli d'amore"). Gli effetti dell'amore sul poeta sono sconvolgenti, con un arresto delle facoltà fisiche e psichiche, spiegato attraverso la nozione di "spiriti", entità aeree che influenzano l'anima.
La donna stilnovistica è raramente raggiunta; la sua distanza non è sociale, ma legata all'inafferrabilità dell'ideale. Queste donne sono figure simboliche, astratte, pallide e evanescenti, ma la loro intensità astratta si sviluppa dalla realtà.
Guido Guinizzelli nelle sue rime pone in primo piano il valore e lo stupore dell'apparizione della donna, la cui forza benefica riduce l'amante all'immobilità. Lo sguardo e il saluto della donna sono modi esterni di manifestarsi, e il saluto è la "salute spirituale" dell'amante. La lode della donna è l'espressione più alta del poeta. La sua disposizione dottrinaria e filosofica è evidente nella canzone Al cor gentile rempaira sempre amore, manifesto dello stil novo, che afferma la stretta solidarietà tra amore e gentilezza, ma una gentilezza che non si identifica con la nobiltà di sangue, bensì con le qualità d'animo derivanti dagli influssi celesti.
Nel finale, il poeta si giustifica davanti a Dio per aver posto l'amore in un oggetto terreno, affermando la natura angelica della donna, da cui la celebre metafora della donna-angelo.
Il linguaggio di Guinizzelli, pur incorporando elementi linguistici precedenti (francesismi, provenzalismi, latinismi, sicilianismi, bolognesi), introduce i motivi ideologici dell'amore come salute spirituale e l'angelicazione della donna.
Guido Cavalcanti: l'amore che distrugge
Guido Cavalcanti (1260-1300), nobile guelfo fiorentino e amico di Dante, fu una figura di spicco dello Stil Novo e un filosofo di fama, noto per le sue posizioni averroistiche che gli valsero la fama di ateo. La sua poesia è caratterizzata da una straordinaria capacità melodica e dalla capacità di fissare immagini immediate, prediligendo sonetti e ballate. Le sue agili figure, come la Manetta evocata durante il viaggio a Santiago de Compostela, delineano con pochi elementi la donna amata.
La canzone dottrinale Donna me prega è un'opera a parte, con un ragionamento arduo che riprende il trobar clus provenzale. Il suo tema centrale è l'azione distruttiva dell'amore sulle facoltà dell'anima umana, rivelando un'impostazione filosofica averroistica. Cavalcanti esplora questi effetti sconvolgenti, pur partendo dall'esaltazione della donna, dotata di una forza quasi magica. Tuttavia, in questo valore c'è una sproporzione, un eccesso che minaccia l'anima e la espone alla morte, la cui immagine si riflette nell'aspetto del poeta, angosciato, dubbioso e distrutto. La poesia di Cavalcanti è ricca di figure e personificazioni di entità fisiche e psichiche, come gli "spiriti", che si scindono e si intrecciano.
Un esempio emblematico è la ballatetta Perch'i' non spero di tornar giammai, dove il poeta, lontano dalla sua donna e in preda al dolore e alla paura della morte, affida alla ballatetta il compito di comunicare alla donna la sua adorazione come "fedele servo
d'amore". Cavalcanti è il primo nelle letterature volgari a sentire fino in fondo la violenza dell'amore, un fantasma assoluto e distruttivo, che porta alla disintegrazione dell'unità della persona.
Il suo linguaggio poetico analizza minuziosamente la fenomenologia dell'innamoramento come contrasto tra l'idealità della donna e la forza distruttiva della passione. Egli rinnova il materiale linguistico della tradizione, usando un toscano fiorentino (es. condizionale in -ebbe) e estendendo le forme dittongate. Termini come "core", che nella tradizione cortese indicavano animo e forza, in Cavalcanti diventano la sede del dramma amoroso. L'uso del dialogo, attraverso cui il poeta dà voce ai richiami contraddittori del cuore, è un'altra caratteristica distintiva.
Gli stilnovisti minori
Rispetto all'intensità di Cavalcanti e Dante, gli altri stilnovisti si collocano a un livello più misurato.
Lapo Gianni traduce i modelli di Cavalcanti e Dante in poesie eleganti e festose, animate dal piacere della vita delle brigate cittadine (Angelica figura, Nel vostro viso).
Gianni Alfani segue più da vicino lo stile di Cavalcanti, riprendendo la sua ballatetta che diventa una "ballatetta dolente".
Dino Frescobaldi ricerca una musicalità più ampia e ricca di momenti sensuali (Amor, se tu).
Cino da Pistoia, stimato da Dante e giurista, fu il più vasto tra i canzonieri stilnovistici. La sua poesia, influenzata da Dante, è illustre ma misurata, equilibrata tra pacatezza tecnico-linguistica e impegno intellettuale. Le sue rime per l'amata Selvaggia rievocano in modo originale la figura della donna e le emozioni. Cino, per la sua temperanza stilistica, rappresenta un tramite fondamentale tra lo Stil Novo e Petrarca.
La poesia comica toscana
Quando i poeti toscani si volsero alla beffa, il linguaggio adottò tratti più vicini al parlato e meno rispettosi della tradizione. Rustico Filippi usò la ricchezza del fiorentino per graffiare la realtà. Nei suoi sonetti seri, esprimeva gli aspetti più concreti del rapporto amoroso; nei sonetti comici, fissava figure umane in movimento, come la fanciulla magra, la vecchia orribile o il millantatore, inserendole nella vita comunale e inaugurando la tradizione giocosa e burlesca fiorentina. La sua scoperta del comico aprì nuove possibilità alla lingua volgare, di cui Dante terrà conto nella Commedia.
Dopo Rustico, si sviluppò una produzione di sonetti giocosi che raffiguravano aspetti distorti della realtà quotidiana, aspre caricature e tenzoni comiche. Anche Guinizzelli, Cavalcanti e Dante si cimentarono con sonetti giocosi. A Siena, in particolare, si produssero testi che, pur rifacendosi alla tradizione comica medievale (poesia goliardica e parodistica), usavano i modi più bassi del volgare per opporsi alle ambizioni illustri della poesia cortese.
Cecco Angiolieri, di ricca famiglia senese, condusse una vita dissoluta. I suoi sonetti esibiscono un repertorio di provocazioni, prendendosi gioco del lavoro, dell'onestà e dei valori morali. I suoi temi principali sono: l'amore per Becchina (parodia dello stil novo), l'odio per il padre e il bisogno di denaro. Le sue "tre cose più amate" sono la donna, la taverna e il dado.
Folgore da San Gimignano, cavaliere guelfo, descrisse nelle sue poesie una serie di piaceri legati ai giorni della settimana e ai mesi dell'anno, ispirandosi al plazer provenzale. I suoi sonetti, che presentano scene di vita cortese (cacce, tornei, banchetti) e delle brigate cittadine, mitizzano una società cavalleresca ed edonistica, al di fuori di ogni prospettiva etica e religiosa.
Cenne de la Chitarra, giullare aretino, realizzò una divertente parodia dei sonetti dei mesi di Folgore, sostituendo ai piaceri le "noie" e i "fastidi", secondo lo schema provenzale dell'enueg.
La prosa volgare medievale: traduzioni, generi e strutture
La prosa volgare medievale si sviluppò più tardi rispetto alla poesia e si modellò sul latino e sul francese. La coesistenza di diverse lingue nel Duecento ebbe un impatto più marcato sulla prosa che sulla poesia, dove la separazione linguistica tra lirica italiana e provenzale era più netta. A differenza della poesia, la prosa era più "traducibile" e non si chiudeva in codici vincolanti.
Le traduzioni furono fondamentali per la formazione della prosa italiana, soprattutto quelle di opere latine e francesi di successo (più rari i volgarizzamenti da classici latini). Si ebbero numerose "versioni", cioè traduzioni multiple di una stessa opera. Un esempio significativo è il Tresor di Brunetto Latini, che ebbe una versione toscana diffusa, da cui a sua volta furono fatte versioni in latino e spagnolo.
La tradizione manoscritta ha portato alla perdita di molti esperimenti dialettali giudicati "rozzi" in seguito al trionfo del toscano come lingua letteraria. La documentazione attuale è prevalentemente toscana, data la presenza di numerosi centri di scrittura a Firenze, rivolti a un pubblico variegato. Inizialmente, i testi fiorentini in prosa erano strumentali (es. Libro dei conti), con una sintassi scheletrica. Tuttavia, l'associazione tra intenti comunicativi e artistici portò a una prosa più elevata, legata alla retorica e mirante a trasferire nel volgare la dignità stilistica del latino, rendendo il volgare capace di esprimere e comunicare tutto ciò che era essenziale.
Non è sempre facile distinguere tra opere originali, traduzioni e rifacimenti, poiché molte traduzioni non si presentano come tali, e molte opere attingono liberamente a fonti diverse (es. il Novellino). La distinzione tra versione e originale sfuggiva alla coscienza culturale del tempo, che vedeva la scrittura come qualcosa di oggettivo e impersonale.
Nella prosa volgare duecentesca, l'exemplum e il racconto divennero centrali. Le norme morali, sociali e religiose si traducevano in situazioni e azioni esemplari, spesso con figure personificate. L'exemplum, già presente nella retorica antica, si inseriva in testi più ampi o in raccolte autonome, con un carattere edificante e spesso una componente popolare e realistica, che ne fece la base della nascente narrativa volgare. Questa cultura mirava a istruire raccontando, ma la materia presentata era spesso già sistemata e interpretata da schemi preesistenti.
Trattatistica enciclopedica e scientifica e scritture storiche
La tendenza enciclopedica del Medioevo raggiunse il suo apice nel Duecento con le summae, opere che sintetizzavano il sapere universale (es. quelle di San Tommaso). La produzione divulgativa non aveva lo stesso rigore razionale, ma erano compilazioni erudite che aspiravano a fornire una sintesi del mondo naturale, storico, morale e religioso, attingendo a diverse fonti senza distinzioni tra realtà, fantasia o mito. Queste enciclopedie si presentavano come "specchi" del mondo, come lo Speculum di Vincenzo di Beauvais. Il Tresor di Brunetto Latini è la prima di queste opere redatta in volgare (francese).
La Composizione del mondo con le sue cascioni di Ristoro d'Arezzo (1282) è la prima vera summa in volgare toscano, un trattato enciclopedico sulla natura e il cosmo, con l'astronomia al centro, che attinge a fonti arabo-latine e introduce una terminologia scientifica in volgare. Questa opera segna l'inizio di una tradizione di scritture tecnico-scientifiche in volgare.
Accanto a queste, si sviluppò una trattatistica tecnica in latino (es. Trattato sulla caccia al falcone di Federico II, opere di Leonardo Fibonacci e Michele Scoto).
Le scritture storiche e cronache rappresentano un'altra importante tradizione. Le storie universali in latino accumulavano notizie da fonti disparate senza controllo critico (es. Speculum historiale di Vincenzo di Beauvais). Le cronache in latino raccontavano eventi più specifici, spesso recenti e vissuti dai compilatori (cronisti meridionali su Federico II, veneti su Ezzelino da Romano).
Un caso a sé tra le cronache latine è la Cronica di Salimbene de Adam da Parma (1221-1287), frate minore che visse in vari centri dell'Italia padana. La sua Cronica, scritta in età avanzata, narra eventi della sua esistenza con ricordi personali, voci e credenze, mostrando una religiosità corposa e un'attenzione ai dettagli quotidiani, con un latino vivace intriso di volgare.
Le Estoires de Venise di Martin da Canal furono scritte in volgare francese nell'area veneta, esaltando la gloria di Venezia.
Le cronache in volgare italiano proliferarono nella seconda metà del '200 in Toscana, specialmente a Firenze, per mano di autori mercanti e protagonisti della vita politica.
Queste scritture, sebbene schematiche, trasmettono le esperienze e le mentalità collettive del mondo comunale, raccontando le aspre lotte tra fazioni e Comuni (es. Istoria fiorentina di Ricordano Malispini).
Nel Trecento, la produzione cronistica si arricchì con cronache locali in volgare, come la Cronica di anonimo romano (sul tribuno Cola di Rienzo) e la Cronaca aquilana di Buccio di Ranallo.
Dino Compagni (mercante fiorentino) scrisse la Cronica delle cose occorrenti ne' tempi suoi, narrando le vicende fiorentine dal 1280 al 1312 con lo scopo di denunciare la corruzione politica. Il suo stile è rapido, nervoso e sentenzioso, con scorci drammatici della vita fiorentina.
Giovanni Villani (1280-1348), mercante fiorentino, scrisse una Cronica che parte dalla Torre di Babele per giungere fino alla sua morte, ricca di informazioni e dati di prima mano. Il suo atteggiamento riflette l'ideologia del mercante legato alla sua città.
Le scritture dei mercanti includono non solo libri contabili, ma anche relazioni di viaggi d'affari (es. Pratica della mercatura di Francesco Pegoletti), libri di massime morali e memorie familiari (es. Cronica domestica di Donato Velluti).
La prosa moralistica si diffuse ampiamente, offrendo insegnamenti sul giusto comportamento nella vita sociale, familiare e individuale, spesso legati alla prospettiva cristiana ma con un'applicazione più pratica e laica. Utilizzava il metodo dell'exemplum. Nella seconda metà del '200 si ebbero traduzioni e rifacimenti di opere moralistiche medievali, come bestiari e favole animali.
Bono Giamboni è un importante traduttore, la cui prosa mira a una sintassi essenziale (es. Libro de' Vizi e delle Virtudi). Anche il Fiore di virtù (inizio '300) è un repertorio divulgativo sui vizi e le virtù, con citazioni di autori e idee dantesche sulla nobiltà.
Il Milione di Marco Polo è il libro più universalmente noto della letteratura italiana del '200, ponendosi tra cronaca, trattatistica storico-geografica e relazioni di viaggio. Il lungo viaggio di Marco Polo (1254-1324) in Oriente, il suo soggiorno alla corte del Gran Khan e i suoi compiti imperiali sono raccontati nell'opera. In prigione a Genova, Marco Polo incontrò Rustichello da Pisa, che trascrisse oralmente in francese l'opera intitolata Le divisament dou monde. La scelta del francese mirava a una diffusione internazionale, essendo lingua franca del ceto mercantile. Il titolo "Milione" deriva dal soprannome della famiglia Polo. Il testo è diviso in capitoli con rubriche, e pur non essendo espressione di una visione mercantile, utilizza moduli della letteratura cortese.
Infine, il romanzo in prosa italiano si sviluppò nel Duecento attraverso il trasferimento dei romanzi cortesi francesi in prosa, che ponevano minori problemi compositivi rispetto alla poesia. Tra la fine del '200 e l'inizio del '300 si produssero numerose traduzioni e volgarizzamenti dei romanzi francesi, affascinando un vasto pubblico di lettori aristocratici e borghesi. Tra i testi volgari più importanti si annoverano il Tristano Riccardiano, la Tavola Ritonda e i Fatti di Cesare.
La nascita della novella
La letteratura moralistica, con il suo ampio uso degli exempla, stimolò una nuova curiosità per la forma narrativa breve, che nel Trecento si sarebbe affermata con il termine di novella.
Questo genere emerse dalla volgarizzazione e dall'adattamento di numerose opere che, attraverso cornici e situazioni più ampie, integravano racconti ed exempla. Queste opere potevano essere di natura didattica e moralistica, riprendere frammenti del romanzo cavalleresco, o attingere a tradizioni narrative orientali. L'insieme di queste versioni e rielaborazioni ha costituito un ricco repertorio di motivi che sarebbero stati impiegati in tutta la storia della novella italiana.
Determinante per lo sviluppo della novella fu anche il rapporto con le fiabe popolari e con i racconti orali delle brigate aristocratiche e cittadine, che incarnavano un gusto per la parola precisa e graffiante, sempre più svincolata da destinazioni morali.
Il Novellino
Il Novellino è una testimonianza significativa della crescente autonomia del narrare breve. Questa raccolta di circa cento novelle, di ambiente fiorentino, presenta una notevole variabilità nel numero e nell'ordine dei testi nei diversi manoscritti, rendendo difficile la ricostituzione di un testo originale. Un corpus più omogeneo di novelle, contraddistinte da rubriche che ne indicano il tema, derivava da fonti e repertori di vario tipo ed è stato oggetto di numerose trascrizioni, aggiunte e ampliamenti.
Un breve prologo sottolinea che la materia della raccolta è costituita da brevi esempi di comportamenti cortesi ed è destinata a "cuori gentili e nobili", con lo scopo di fornire loro occasioni di argomentazione e di diletto. Il libro è presentato come un repertorio di gesti, atti e parole che i nobili e i gentili possono riprendere e imitare per intrattenere gli altri, e che offrono piacere perché sono "signorili e degni", peculiare di intelligenze superiori. L'intento era offrire al pubblico cittadino fiorentino una serie di schematici modelli di comportamento cortese.
Le singole novelle, brevi e rapide, tendono a mettere in luce una scena risolutiva in cui si impone l'esemplarità di un'azione o di un detto, piuttosto che intrecciare eventi complessi. Molte si concentrano su:
un motto di spirito.
un gesto spettacolare che ha lo stesso effetto di un motto.
una situazione eccezionale o paradossale.
Motti, gesti e situazioni hanno funzioni diverse: allontanano pericoli, censurano comportamenti scorretti, fissano limiti etici di condotta e indicano ciò che è giusto e degno.
Il Novellino è ricchissimo di temi feudali e cavallereschi, derivati da testi delle letterature francese e provenzale, da versioni cortesi della storia antica e dagli exempla della letteratura moralistica. Molte novelle sono dedicate a figure di grandi personaggi affascinanti come il Saladino o gli imperatori Federico I e II. Tutta questa variegata materia è espressa in una lingua nitida ed essenziale, la cui ferma naturalezza, per il lettore moderno, ha un che di strano e inafferrabile.
Il Trecento: volgarizzamenti e sviluppo della prosa
Nel Trecento, specialmente in Toscana, si assiste a una notevole attività di volgarizzamento di autori latini. Questo diede luogo a un continuo confronto tra modelli classici e prosa in volgare, che portò all'elaborazione di una prosa sempre più accurata, nobile e latineggiante. Il modello più esemplare di questa prosa sarà quello costituito da Boccaccio. La produzione in prosa volgare, quindi, trovò il suo terreno più fertile e il suo maggiore sviluppo in Toscana.


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