Locarnese: cenni storici
- Rossana

- 1 août
- 21 min de lecture
Locarnese: cenni storici
Locarno e il Locarnese: cenni storici - Preistoria
Le prime tracce di presenza umana organizzata nel Locarnese risalgono all’età del bronzo1 e sono testimoniate dai materiali scoperti nel territorio che si affaccia sul lago Maggiore, dallo sbocco del fiume Maggia alla foce del Ticino, che documentano la presenza ininterrotta dell’uomo almeno a partire dalla fine dell’età del Bronzo (XIII secolo a. C.).
Di questo periodo sono state ritrovate alcune urne di terracotta e oggetti di ornamento in bronzo che provengono da Locarno–San Jorio2, dove sono state portate alla luce una decina di tombe che attestano l’usanza della cremazione dei morti.
Rituale che persiste anche durante la prima età del ferro3, come risulta da alcune tombe della necropoli di Minusio-Ceresol databili attorno al 500-450 a. C.
1 [Nell’età del bronzo] per la prima volta ci troviamo in presenza di tombe raggruppate in modeste necropoli che tuttavia documentano, inequivocabilmente, l’esistenza di piccoli nuclei di abitanti, i primi nel nostro territorio, in quelle lontanissime epoche. I centri occupati sono tre: Locarno, Arbedo, Rovio; in A. Crivelli, Atlante preistorico e storico della Svizzera Italiana, 1943 (ristampa anastatica e aggiornamento, 1990) Istituto Editoriale Ticinese, Bellinzona 1990, p. 18.
2 Le primissime sparute tribù della tarda industria del bronzo che segnano l’inizio della vita umana tra le nostre valli (…) prendono sede stabile a Locarno [intendiamo la regione da Solduno a Tenero] sulla motta di San Jorio; durante il primo periodo dell’industria del ferro, nel Golasecca 2°, la tribù s’accresce e si sposta nei prati del Ceresol di Minusio; sempre più numerosa è nel successivo periodo del Golasecca 3° e ne troviamo la testimonianza nei prati di Solduno; durante i secoli precedenti la romanizzazione si può dire che la popolazione occupa tutto il tratto, contro monte, da Solduno a Minusio; ma la massima fioritura è raggiunta nei primi due secoli dell’Impero e ce lo provano le vaste e ricche necropoli di Muralto (…), di Minusio (…), di Tenero, di Losone. Locarno può dunque vantare una continuità perfetta e di alto valore specialmente nell’ultima fase; in A. Crivelli, op. cit., pp. 112-113.
3 L’età del ferro ha lasciato nel nostro paese un’orma e documenti assai più cospicui; (…) che ci offrono un quadro completo dello stadio avanzato di civilizzazione raggiunto da quelle popolazioni durante quest’epoca, che va approssimativamente dal 1000 sino quasi all’Era Cristiana. Genericamente il periodo più antico è indicato come ligure, quello di mezzo come etrusco, ed il più recente come celtico o gallico; in G. Rossi, E. Pometta, Storia del Cantone Ticino:dai tempi più remoti fino al 1922, A. Dadò, Locarno 1980, p. 25.
Durante la seconda età del ferro si generalizza poi la pratica dell’inumazione: la necropoli di Locarno-Solduno ne è l’esempio più significativo1.
Le prime popolazioni della tarda industria del bronzo risalgono il Ticino ed il Verbano stabilendosi a Locarno, il cui porto ha, nell’antichità preromana e romana, una grande importanza come porto di arrivo e di propagazione della civiltà.
Indizi linguistici2 e toponomastici permettono di ritenere essere quello dei Liguri il popolo (…) che nella più remota antichità abbia occupato non solo l’odierna Liguria, ma anche le coste del Mediterraneo, l’Alta Italia, ed entrambi i versanti delle Alpi occidentali, quindi anche l’attuale Ticino3.
La stazione paleolitica a noi geograficamente collegata e più vicina è quella ligure delle grotte dei Balzi Rossi e Grimaldi sulla costa tirrenica nei pressi di Mentone4.
I ritrovamenti più cospicui [di tombe] si localizzano sulla linea Locarno-Bellinzona-Mesolcina, e mostrano decise analogie con quelli effettuati all’estremità meridionale del Lago Maggiore e con un terzo gruppo di necropoli rinvenute sulle sponde meridionali del lago di Como.
Si disegnano cosi abbastanza chiaramente i tre vertici di una regione lacuale e prealpina, caratterizzata dalla facilità di comunicazione sulle vie d’acqua o lungo di esse, abitata da popolazioni con modi di vita e usanze uniformi e certamente in reciproco contatto:
simili sono i riti funerari, simili il vasellame, gli oggetti e gli ornamenti ritrovati nelle tombe e perciò tali popolazioni sono state accomunate sotto la denominazione di cultura della Golasecca, dal nome della località a sud di Sesto Calende dove avvennero importanti ritrovamenti, come anche nella vicinissima Castelletto sopra Ticino.
Questi materiali attestano l’esistenza di modeste culture regionali, un po’appartate e in lenta evoluzione, ma tuttavia aperte agli influssi delle due grandi civiltà europee che hanno preceduto quella romana nell’ultimo millennio prima di Cristo: a nord, la civiltà celtica, che si estendeva dal Danubio alla Spagna, e a sud la civiltà etrusca, che fioriva in Italia e si era diffusa nella pianura padana.
Infatti, accanto agli oggetti di produzione locale, si trovano nelle tombe esemplari di lontana e illustre provenienza, come le belle brocche a becco di bronzo, di fabbricazione etrusca, le fibule provenienti da regioni celtiche al di là delle Alpi, vasi provenienti da Bologna o dal Veneto5.
Vasellame di produzione locale era messo in commercio anche fuori dalle nostre regioni. I contatti attraverso i passi alpini dovevano essere regolari e di una certa intensità.
Da Como si raggiungeva la regione transalpina attraverso lo Spluga.
Al San Bernardino faceva capo la regione del Verbano e il Bellinzonese: lo confermano i ritrovamenti in Mesolcina fino ai piedi del passo. I reperti delle tombe nelle nostre regioni testimoniano l’esistenza di una popolazione che aveva un artigianato meno raffinato di quello dei centri meridionali del Lario e del Verbano.
I corredi delle tombe non sono eccessivamente ricchi, né sontuosi. Poco rilevante è la quantità di metalli preziosi, rari i pezzi d’alto pregio importati da lontano.
Le sepolture non marcano nette disparità sociali e lasciano supporre che la popolazione non fosse molto bellicosa perché nelle tombe si sono ritrovate poche armi. Le attività prevalenti devono essere state l’allevamento, l’agricoltura e un artigianato di non molte pretese e con un modesto raggio di diffusione6.
1 Nella regione sopracenerina troviamo sin dall’inizio dell’epoca del ferro un notevole incremento demografico ed artistico. (…) Oggetti ancor più suggestivi per bellezza e perfetta conservazione ci procurano le indagini ed i ritrovamenti relativi all’epoca successiva (dal 400-350 circa al 200 a.C.) e sino all’epoca preromana, denominata anche periodo di la Tène (dalla stazione lacustre sul lago di Neuchàtel caratteristica di tutte le civiltà celto-galliche di quell’epoca), in G. Rossi, E. Pometta, op. cit., p. 26.
2 Sarebbero infatti liguri i nomi delle località aventi la desinenza in –asco, -usco, -osco, ed i loro femminili, numerosi nel Genovesato, nell’Alta Italia, nella plaga ticinese. (…) Liguri sono i nomi del Rodano , del Po. (…) L’antica denominazione di Genova (per la città di Ginevra) è ritenuta d’importanza decisiva per l’affinità con quello di Genova, la capitale della Liguria, e ligure è pure la denominazione delle Alpi, che significa alte montagne, come pure sarebbero tali anche le località con l’iniziale alb- nel Ticino abbastanza numerose; in G. Rossi, E. Pometta, op. cit., p. 30.
3 Ibid.
4 A. Crivelli, op. cit., p. 13.
5 R.Ceschi, Le nostre origini:le terre ticinesi dai tempi remoti alla fine del Settecento, A. Dadò, Locarno 2006, p. 14.
6Ivi, p. 15.
Nel territorio ticinese l’influsso della civiltà etrusca è riconoscibile verso il V secolo a.C., ed è testimoniato dai caratteri alfabetici delle iscrizioni ritrovate in molte località del Sottoceneri e del Sopraceneri, e definite nord-etrusche1.
Si può con fondamento ritenere essere questo l’alfabeto delle popolazioni della nostra plaga per tutta la durata della civiltà del ferro2.
Verso il 400 a.C. tutto il mondo alpino e prealpino con la pianura padana, subì profondi mutamenti in seguito a una vasta migrazione di Celti che, provenienti probabilmente dalla valle del Reno, calano in Italia dalla Bregaglia, dallo Spluga, forse dal San Bernardino.
I Celti dilagano nella pianura padana, vi sconfiggono gli etruschi e vi si insediano da padroni. Da questo momento vengono meno nelle regioni prealpine gli influssi della civiltà etrusca, mentre si impongono fortemente quelli dei nuovi abitatori, non molto numerosi, pare, ma arditi e bellicosi e dominatori3.
Queste popolazioni sono più dedite alla caccia ed alla guerra, che all’agricoltura.
Se ne ha prova nel gran numero di armi, scudi ed anche caschi rinvenuti nelle tombe.
Tuttavia nelle terre ticinesi questa invasione non determina un attrito con le popolazioni locali, i nuovi abitanti si mescolano con le popolazioni autoctone che ne assorbono la cultura4, le tecniche artigianali, le concezioni artistiche, i modi di organizzazione, certi culti e la lingua5. Segni chiari di questa unione si hanno in molte tombe dove si trovano riuniti oggetti appartenenti ad entrambe le popolazioni6.
Fra le tante tribù celto-liguri venute ad occupare, nella regione delle Alpi centrali, l’attuale Ticino, ed in modo speciale le grandi vallate di Blenio, Leventina, Vallemaggia e Verzasca, v’è quella dei Leponti7. (…) I Leponti sono concordamente segnalati nelle Alpi “tra le sorgenti del Reno e del Rodano”, da un naturalista come Plinio il Vecchio, e da un geografo, Strabone. Anche Giulio Cesare, di solito militarmente esatto, conferma che ”il Reno scaturisce dal territorio dei Leponti, i quali abitano le Alpi“8.
Una tribù di Leponti, detta ”dei Canini“, abitava forse la regione da Pollegio a Giubiasco, tenendo anche il Piano di Magadino, dalla Morobbia sino al Lago Maggiore. Bellinzona giaceva appunti nei ”Campi Canini“ (che avrebbero ricevuto tal nome da un Cano, dal quale era dominata la regione) a testimonianza di Paolo Diacono, lo storico dei Longobardi, e del francese Gregorio Vescovo di Tours9.
1 La scrittura comincia a diffondersi nell’Italia settentrionale tra il VI e il V secolo e per la prima volta compaiono sul nostro territorio delle iscrizioni (…) in un alfabeto che è stato definito nord-etrusco per le sue chiare ed evidenti corrispondenze grafiche con quello etrusco e coi dialetti italici da quest’ultimo derivanti. Esso è diffuso e comune a tutta la zona prealpina. (…) L’inizio del suo uso risale al V secolo a.C. ed esso continua fino alla sua sostituzione con l’alfabeto latino; durata dunque che comprende i primi cinque secoli a.C.; in A. Crivelli, op. cit., p. 33.
2 G. Rossi, E. Pometta, op. cit., p. 31.
3 R.Ceschi, op. cit., p. 18.
4 Queste nuove popolazioni si sono fuse con le antiche e la loro permanenza in paese dura diversi secoli, giungendo sino alla conquista da parte dei Romani ; in G. Rossi, E. Pometta, op. cit., p. 31.
5 Di radice evidentemente celtica sono i nomi di un gran numero di città, borghi, località e valli e corsi d’acqua ticinesi, specialmente quelli aventi al terminazione in -ago, ed in –engo; in G. Rossi, E. Pometta, op. cit., p. 30.
6 Nelle nostre regioni si ritrovano indizi evidenti negli oggetti deposti nelle sepolture, come certi orecchini giganteschi tipici del nuovo gusto celtico. Ma tracce indelebili si sono sedimentate nei dialetti. A giudicare dalle permanenze lessicali, sembra che l’arte casearia con le sue tecniche evolute di lavorazione del latte e l’organizzazione comunitaria dell’alpeggio e del pascolo siano state introdotte nelle nostre valli proprio dai Celti; in R.Ceschi, op. cit., p. 18-19.
7 Al nome dei Leponti si collega il mito d’Ercole, il quale, avendo condotto attraverso le Alpi una emigrazione di popoli (Ercole simboleggiava un condottiero di esodi come Mosé) verso la Spagna e l’Africa, perdette nel suo grande viaggio la sua retroguardia. Questi guerrieri, non avendo potuto superare le Alpi come gli altri che li precedevano, essendo loro gelate le membra in causa delle nevi, si fermarono in quella regione e furono detti Leponti, cioè i rimasti, i relitti; in G. Rossi, E. Pometta, op. cit., p. 33
8 Ibid.
9 Ibid.
La tribù dei Leponti, che occupa tutta la regione dell’alto Ticino all’Ossola e quindi tutto il Locarnese, si è sovrapposta alla popolazione autoctona ligure costituendo una comunità liguro-celtica1.
Ne sono testimonianza le iscrizioni su dei vasi in alfabeto prealpino liguro-celto con caratteri etruscoidi ritrovate a Solduno e una stele sepolcrale scoperta a Vira.
Si vorrebbe che lo stesso nome di Locarno e del fiume siano celtici, da Leukara (la bianca) e da Magia (la grande): i Leukarni sarebbero stati gli abitatori celtici del vasto pagus2.
1 La tribù dei Leponti (…) si era sovrapposta (attorno al 300 a.C.) allo strato autoctono reputato ligure, costituendo una unica popolazione di liguro-celti attestata sia dalla toponomastica, che riconosce nei nomi in –asco, -asca, suffissi liguri trasmessi al celtico e in quelli in –ago e in –engo suffissi probabilmente celtici anche se in qualche caso comuni al longobardo, sia da forme di riti e divinità conservatisi sotto altri nomi nell’epoca romana; in V. Gilardoni, I monumenti d’arte e di storia del Canton Ticino, Locarno e il suo circolo, volume I, Società di storia dell’arte in Svizzera, Birkhäuser Verlag, Basilea 1972, p.4.
2 Ibid.
2 Epoca romana
L’invasione celtica della pianura padana coincide con l’espansione nel resto della penisola dei Romani che dal IV secolo a.C. impongono il loro dominio sugli etruschi, sui popoli dell’Italia centrale e si espandono alla conquista delle regioni del Meridione, sottomettendo le colonie greche ed entrando in conflitto con i Cartaginesi che sconfiggono definitivamente nel 146 a.C.
Mentre i Romani si spingono sempre più verso sud, essi restano scoperti al nord e incapaci di contenere le scorrerie celtiche1.
La regione a nord dell’Appennino tosco-emiliano resta così per lungo tempo una zona fuori dagli orizzonti romani, e anzi ostile.
Il nome dei Galli, così i Celti sono chiamati dai Romani, suscita terrore. Per sbarrare la strada a questi temuti e aggressivi vicini, i Romani fondarono via via una cintura di presidi militari, partendo da Rimini, fino ai due più importanti e più settentrionali: le colonie di Cremona e Piacenza. (…) I Romani continuarono però ancora per molto tempo ad avere disinteresse e diffidenza verso il remoto mondo alpino e verso le sue popolazioni che giudicavano semi-selvagge e di cui ignoravano quasi tutto2.
Fu per questi motivi che la civiltà romana penetra in Ticino tardi, agli inizi dell’epoca imperiale, ma si sviluppa velocemente mutando definitivamente la vita delle preesistenti popolazioni, la loro religione, la cultura, la lingua, dando luogo alla base civile su cui si è sviluppata la popolazione.
La romanizzazione avviene senza lotte3 e senza imposizioni, attraverso una pacifica conquista culturale e commerciale.
Nel IV e nel III secolo a.C. la regione prealpina è turbata dalle invasioni dei popoli d’oltr’Alpe ed è sconvolta dalle successive guerre dovute alla reazione romana.
Nel 222 a.C. i Romani occupano Milano, nel 218 a.C si scontrano contro l’esercito di Annibale sul fiume Ticino4 e nel 196 a.C. occupano Como.
1 Roma subisce un umiliante saccheggio nel 391 a.C., e nel secolo successivo i Celti lanciano verso sud numerose incursioni, e danno man forte alle schiere cartaginesi di Annibale che, nel tentativo di colpire i Romani alle spalle, è sbarcato in Spagna e, valicate le Alpi, è calato in Italia; in R.Ceschi, op. cit., p. 22.
2 Ibid.
3 Sotto il dominio di Roma le terre del Ticino vissero in pace assoluta, anche durante le guerre civili; in G. Rossi, E. Pometta, op. cit., p. 38.
4 Nella seconda guerra punica, nell’apparire di Annibale al di qua delle Alpi, i Leponti, attratti dal vincolo sanguineo che li legava, fecero causa comune con i Galli Cisalpini alleati dei Cartaginesi. Uno dei più significativi cantori dei fasti di Roma, Silio Italico, consacrò alla posterità il valore bellico dei Leponti, narrando nel suo poema un episodio della sanguinosa battaglia del Ticino; egli revoca con parole riboccanti d’epica grandezza la morte di un Lepontico, certamente un capo, ucciso per la mano stessa di Scipione che era stato da quello temerariamente affrontato. Ciò avveniva nell’anno 218 avanti dell’Era Volgare; in G. Rossi, E. Pometta, op. cit., p. 33.
Il giungere dei Romani (…) dovette, per riflesso, influire anche sulle tribù del Sopraceneri e del Sottoceneri.
Nonostante ciò, dal V al II secolo a.C., manca qualsiasi documentazione storica che si riferisca particolarmente alla nostra regione. La popolazione (…) parla la stessa lingua, adopera ancora l’alfabeto nord-etrusco, pratica la tradizionale religione ed un ugual culto dei morti. Introduce lentamente nuove forme vascolari ed ornamentali. Cessa l’attività del centro irraggiante di Golasecca e si consolida invece quello della Ca’ Morta presso Como. Alla relazione commerciale etrusca subentra quella provinciale definita “gallica” (…); mentre l’influsso culturale etrusco persiste intatto per intrinseca vitalità1.
Cessata la rigogliosa potenza etrusca; non ancora impostasi quella romana (…); le tribù delle valli restano abbandonate a loro stesse; e si ripeterono senza rinnovarsi, si indebolirono a tal punto che una volta raggiunte dalle nuove espressioni della civiltà romana, in brevissimo tempo, muteranno la loro etnografia2.
Con la conquista romana di Milano e di Como ma forse specialmente dopo la ricostruzione di Como (89 a.C.) che era stata distrutta dai Reti (94 a.C., Leponti anch’essi secondo Strabone), i Romani concedono lo ius latinum alla Transpadana e ne attribuiscono il territorio al municipium di Milano, ma solo nel 49 Cesare dà la cittadinanza romana ai Cisalpini. Nel 42 a.C. tutta la Cisalpina appartiene de iure all’Italia3.
La guerriglia continua però nelle vallate fino al 15 a.C. anno in cui, per opera dell’imperatore Augusto4, le Alpi si possono ritenere definitivamente conquistate dai Romani5.
Tutto il Sopraceneri venne attribuito a Milano quando Augusto formò i municipi nord italici; la sede dell’amministrazione era Stazzona6.
Il trofeo di Turbia del 7 a.C., eretto in onore di Augusto per aver soggiogato la Rezia nel 15 a.C., ricorda i Leponti tra i popoli sottomessi.7
La penetrazione romana nelle terre e nella valli prealpine deve aver raggiunto precocemente il bacino superiore del Verbano8, controllata dal centro lacuale di Stazzona (Angera) e dalla sua flotta9.
I Romani giungono prima nel Sopraceneri a Locarno, dove troviamo le ricche necropoli del I e II secolo d.C.
Solo nei secoli seguenti il Sottoceneri si romanizza facendo sorgere il suo massimo centro in S.Pietro di Stabio.
Ha così inizio la diversità di vicende storiche tra Sopra e Sottoceneri prima uniti nel solo contemporaneo influsso proveniente da Golasecca10.
Per questo motivo la romanizzazione del Locarnese precede di due secoli quella del Sottoceneri, raggiungendo, sotto l’impero di Claudio11, la sua maggior intensità.
La zona sottocenerina è collegata a quella comasca mentre quella sopracenerina appartiene all’alta valle del Ticino ed è direttamente legata al Verbano.
1 A. Crivelli, op. cit., p. 61.
2 Ivi, p. 62.
3 V. Gilardoni, I monumenti d’arte e di storia del Canton Ticino, Locarno e il suo circolo, op. cit. p.4.
4 Verso il 50 a.C. Cesare conquista tutta la Gallia, qualche decennio dopo gli eserciti di Augusto penetrano profondamente in Germania. La conquista della Gallia e le spedizioni in Germania attribuirono enorme importanza alle strade militari che permettevano di raggiungere rapidamente queste regioni e il confine settentrionale. Era perciò indispensabile ottenere il controllo dei passi alpini e garantirne la sicurezza da colpi di mano o azioni di disturbo; ecco perché Augusto sottomette con una serie di difficili campagne le ribelli e pugnaci popolazioni alpine; in R.Ceschi, op. cit., p. 24.
5 A. Crivelli, op. cit., p. 69.
6 G. Wielich, Il Locarnese nell’Alto Medioevo : da Odoacre ai Longobardi, Bellinzona: A.Salvioni 1952, p. 41.
7 Nell’imponente Arco di Trionfo elevato nell’anno 12 a.C. dal Senato romano, in onore di Augusto, dopo la sottomissione da lui compiuta dei popoli alpini, e che oggi ancora si ammira a Turbia, superiormente a Monaco (principato) leggesi il nome dei Leponti, fra i quarantadue popoli vinti: ed a alto di essi figurano i Viberi, alle sorgenti del Rodano, come vuole anche Plinio, i Camuni ed i Venostes (delle Valli Camonica e Venosta), i Rugusci (dell’Engadina) ed altri della Rezia; in G. Rossi, E. Pometta, op. cit., p. 33.
8 Una strada di una certa importanza convergeva da Milano su Angera, risaliva per acqua il Verbano fino al porto di Locarno, da qui, costeggiando sulla destra la pianura acquitrinosa del Ticino, si portava fino all’altezza della collinetta di San Carpoforo vicino a Gorduno, dove il fiume era molto largo e facilmente guadabile, passava a Castione e s’inoltrava nella Mesolcina verso il San Bernardino che conserva ancora resti di manufatti stradali del periodo tardo romano; in R.Ceschi, op. cit., p. 25.
9 V. Gilardoni, I monumenti d’arte e di storia del Canton Ticino, Locarno e il suo circolo, op. cit. p.5.
10 A. Crivelli, op. cit., p.71.
11 Sotto l’impero di Claudio (41 d.C. – 54 d.C.) il processo assimilativo raggiunge la sua maggior intensità. [Lo testimonia] un importantissimo documento dell’epoca che (…) si può riferire alla nostra regione. L’Edictum Claudii de Civitate Anaunorum del 46 d.C., più noto sotto il titolo di Tavola Clesiana (da Cles, luogo di ritrovamento, in Val di Non nel Trentino), ricorda una controversia risalente al tempo di Tiberio (14-37 d.C.) tra i Bergalei (tribù della Valle Bregaglia) e Como per le proprietà di alcuni fondi e boschi e inoltre dichiara che alcune tribù alpine (Anauni, Tulliassi, Sinduni) pur non essendo assegnate a nessun municipium si erano tuttavia abusivamente attribuite la cittadinanza romana e ne usavano a tal punto che alcuni membri di esse rivestivano cariche nell’esercito e nella stessa Roma. L’imperatore Claudio, constatata l’ineluttabilità della situazione, accordava perciò a quelle tribù il diritto di cittadinanza con forza retroattiva. Da questo editto possiamo dedurre alcune considerazioni di grande importanza e precisamente:
a) nel 46 d.C. alcune popolazioni alpine non hanno ancora ricevuto la cittadinanza romana
b) riesce possibile l’attribuzione abusiva della cittadinanza e l’esercizio della stessa con pieni effetti
c) nel 46 d.C. esistono vallate e tribù non ancora attribuite ad alcun municipio
d) esistono pure nelle vallate alpine delle tribù autonome (come i Bergalei) che hanno la forza di entrare in controversia giuridica con il municipium; in A. Crivelli, op. cit., p.115.
Caracalla concede nel 212 d.C. la cittadinanza romana a tutti i municipi dell’Impero e questa data possiamo considerarla l’entrata ufficiale [del Locarnese] nello Stato di Roma sebbene già romanizzato da almeno due secoli1.
Locarno inizia la sua vita romana al principio dell’Impero.
Nel II secolo d.C la prosperità economica si riflette anche nelle valli, fenomeno testimoniato dalle necropoli romane del Locarnese, alcune datate dal II secolo a.C. al IV secolo d.C. (Brissago, Solduno, Locarno, Muralto, Minusio, Tenero) e da tombe e oggetti vari trovati sui colli e nelle valli (Arcegno, Brione, Cavigliano, Contra, Cugnasco, Gresso, Intragna, Maggia, Moghegno, Tegna).
Fondazioni di ville2, oltre le ricchissime necropoli, indicano in Muralto probabilmente il maggiore centro residenziale romano della regione3: una iscrizione riferita a un cittadino della tribù “oufentina”4 potrebbe confermare l’appartenenza dell’alto Verbano all’agro milanese5.
Nel vicus di Muralto si svolgeva sia il commercio di beni importati dalle regioni circostanti sia quello di provenienza locale, come la ceramica comune, il metallo, i recipienti in legno o intrecciati, i tessili e i prodotti dell’agricoltura e dell’allevamento.
È pure molto probabile che esistesse a Muralto un’officina vetraria, impiantata da qualche artigiano proveniente dalla regione padana o adriatica, che fabbricava vetri più comuni e molto frequenti in tutto il Locarnese.
Il vicus di Muralto rappresentava dunque il mercato del tempo, dove si poteva trovare tutto e dove si potevano vendere i propri prodotti, non solo quelli agricoli, ma in particolare modo la pietra ollare (molto richiesta in epoca romana), e il cristallo di rocca, preziosa materia prima utilizzata per la fabbricazione di oggetti di valore (pendagli, vasetti, gioielli) e per ottenere vetro di ottima qualità6.
1 Ibid.
2 Che anche le sponde del Verbano, specialmente da Muralto a Minusio, siano stati luoghi di tranquilla e agiata villeggiatura lo dimostrano i ritrovamenti:in questi luoghi sono stati rinvenuti vetri sottilissimi e delicati, di gusto squisito: anforette,unguentari,coppe, bicchieri. Sono prodotti preziosi e raffinati, provenienti da laboratori specializzati, e appartenuti a facoltosi possidenti e alle loro dame, come anche i monili e le statuette, per esempio quella graziosa Venere che si pettina mirandosi in uno specchietto che regge in mano, o la coppia di coniugi affettuosamente stretti su un piccolo divano; in R.Ceschi, op. cit., pp. 26-27.
3 Soltanto nel vicus di Muralto si riscontrano alcune tombe con vasellame in vetro di buon livello, importato dalle fabbriche della valle del Reno, e alcune monete del IV secolo. Queste deposizioni sono da riferire ad alcuni personaggi di livello sociale ragguardevole, che dovevano essere attivi nel vicus; in R.Broggini, Losone, Associazione delle Tre Squadre del basso Losone, 2003, p.47.
4 Quando i cittadini di una nuova regione conquistata dai Romani ricevevano la cittadinanza, dovevano essere aggregati ad una delle tribù originarie costituenti lo Stato romano; Como e Milano, infatti, erano state aggregate alla tribù oufentina, cosiddetta dal fiume Ufente che si scarica in mare presso Terracina.
5V. Gilardoni, I monumenti d’arte e di storia del Canton Ticino, Locarno e il suo circolo, op. cit. p.5.
6 R.Broggini, op. cit., p.43.
La grande necropoli di Solduno è l’unica, di cui finora abbiamo testimonianza, ad essere stata utilizzata senza soluzione di continuità dall’età del ferro (a partire dal IV secolo a.C.) fino all’epoca romana (IV secolo d.C.). Ciò significa che l’abitato di Solduno esisteva precedentemente al vicus di Muralto e continuò ad esistere parallelamente a quest’ultimo1.
In tutta la regione [del Locarnese] si assiste durante la prima metà del I secolo d.C. all’incremento di piccole necropoli periferiche al vicus di Muralto e simili fra loro: è il caso di Losone, Arcegno, Ascona, Moghegno, Tenero. (…) Tutte queste necropoli, e pure quelle di Muralto e Minusio, hanno un notevole sviluppo fra il I e il II secolo d.C., periodo di particolare fioritura del vicus stesso2.
Lungo le rive del Lago Maggiore, dal I al IV secolo d.C., si stabiliscono commercianti e artigiani che intrattengono relazioni con i grandi centri della civiltà romana. Grazie a questi scambi sono pervenuti nella regione oggetti preziosi riscoperti dagli archeologi nelle antiche tombe locarnesi3.
Sono stati ritrovati importanti reperti in vetro, attualmente conservati al Museo archeologico di Locarno.
Elementi importanti sono le coppe in pasta vitrea, le anfore, le bottiglie o le colombine porta profumi di vetro colorato, di grande rarità è la Coppa degli Uccelli, in vetro soffiato e dipinto databile tra il 20 e il 50 d.C.
La romanizzazione del Locarnese non ha cancellato o sostituito la cultura locale, bensì l’ha arricchita di elementi romani. Non sembra esservi stato un ceto dirigente romano contrapposto alle popolazioni locali4.
Il IV secolo è un periodo di grandi sconvolgimenti, che vede il progressivo mutamento dei rapporti politici all’interno dell’Impero romano.
La pressione militare esercitata, dalla fine del II secolo d.C., dai vari gruppi barbarici sul confine settentrionale e nord-orientale dell’Impero, aveva causato lo spostamento del potere politico e militare imperiale da Roma all’Italia settentrionale.
Durante la tetrarchia5 di Diocleziano e Massimiano, all’inizio del IV secolo, si tenta una riorganizzazione dell’Impero con le riforme dioclezianee e l’istituzione delle suddivisioni per diocesi. Milano diventa così la nuova sede imperiale per l’Occidente ed inizia il suo gran ruolo storico di primissima importanza ed il suo indiscutibile predominio sul Ticino6.
Nel corso del secolo IV la pressione barbarica sul limes imperiale era andata continuamente crescendo, finché, nel 406, infranta la frontiera del Reno, intere popolazioni germaniche7 irruppero nelle province occidentali alla ricerca di uno stabile insediamento8.
Le popolazioni Alemanniche [di stirpe germanica], già minacciose ai confini dell’Impero, cercano di valicare le Alpi e di scendere in Italia e sono spinte ad utilizzare i valichi centrali tra i quali quello del San Bernardino [la cui apertura risale all’epoca di Marco Aurelio] per raggiungere Milano capitale dell’Occidente. Narra appunto lo storico Ammiano Marcellino che nel 355 l’imperatore Costanzo II venne nella Rezia e nei Campi Canini contro gli Alemanni9.
Circa un secolo dopo (457) un’incursione di un migliaio di Allemanni (che già avevano soverchiata l’Elvezia romana arrivando pure nei Campi Canini attraverso il Lucomagno o l’Avio[il San Bernardino]) veniva colà fermata dai Romani, come cantò Sidonio Apollinare nell’elogio dell’imperatore Maggiorano10.
La difesa di Milano, capitale dell’Impero e della stessa Italia, esigeva il controllo dei valichi nelle Alpi centrali e delle vallate che scendevano verso la pianura padana. (…) Uno spostamento delle frontiere dell’Italia si verificò quando la linea di demarcazione con la Rezia, che in origine passava per il Monte Ceneri, fu trasferita sulle Alpi.
A tale conclusione si arriva, considerando che la medesima località detta “Campi Canini” si trovava nella Rezia secondo Ammiano Marcellino e secondo Sidonio Apollinare che riferiscono avvenimenti degli anni 355 e 457, mentre Gregorio di Tours la individua presso il castello milanese di Bellinzona, con riferimento all’anno 590. (…) Quando egli narra l’incursione dei Franchi e la morte del loro duca Olo nel combattimento contro i Longobardi avvenuto nel 590 presso il castello milanese di Bellinzona, situato nei Campi Canini.
Il collegamento tra il castello di Bellinzona e la città di Milano, esplicito nella definizione huius urbis castrum (castello della città di Milano), fa ritenere che i confini del regno fossero già stati portati sulle Alpi e che le terre già retiche a sud delle Alpi fossero ormai dipendenti dal ducato di Milano. Se per Ammiano Marcellino che scriveva nel quarto secolo, e per Sidonio Apollinare, al volgere del quinto secolo, il territorio di Bellinzona apparteneva alla Rezia, per Gregorio di Tours, che scrive verso la fine del sesto, le stesse località sono entro il territorio di Milano, e Bellinzona è considerata una fortezza milanese11.
1 Ivi, p. 46.
2 Ibid.
3 Nel 1946-49 furono rinvenute nell’area della città vecchia alcune sepolture che possono essere collegate alla necropoli situata sul terrazzo fra le chiese di Santa Maria in Selva e San Giovanni Battista di Solduno. L’abitato di Locarno si situa pertanto fra il vicus romano di Muralto e la citata necropoli; l’intensa attività edilizia e l’uso agricolo dei terreni ne ha cancellato numerose tracce. Nel 1995 e 1997 sono venute alla luce in via Vallemaggia 57 tombe di cui 19 di epoca romana, che confermano la presenza di due modalità di sepoltura, a cremazione e a inumazione, ancora nel III secolo. Sono inoltre stati rinvenuti importanti reperti in vetro. La necropoli romana è una continuazione di quella dell’età del ferro finale e copre un arco cronologico che si estende dall’anno 0 alla metà del III secolo d.C.; in M. Jorio, Dizionario storico della Svizzera, Volume 7, Armando Dadò Editore, Locarno 2002, p. 745.
4 Ibid.
5 in base alla quale la parte occidentale e quella orientale dell’impero furono divise e governate da due imperatori (Augusti) a cui furono associati, in posizione subordinata, due Cesari.
6 A. Crivelli, op. cit., p. 115.
7 Verso la fine del terzo secolo d.C. e agli inizi del quarto la linea difensiva dell’impero, il limes, che correva lungo il Reno e si saldava al Danubio, tra Coblenza e Ingolstadt, con una serie di fortezze, torri di guardia e guarnigioni stabili, viene sfondata ripetutamente dalle prime incursioni di tribù germaniche. Il sistema difensivo imperiale viene allora arretrato sulla linea Costanza-Basilea, tanto che la Svizzera ridiventa, dopo due secoli di pace, un territorio di confine. Quando, all’inizio del quinto secolo, anche questa seconda linea viene travolta, e tutte le guarnigioni romane sono richiamate e abbandonano il nord delle Alpi ai Germani, l’Italia resta scoperta verso l’arco alpino e verso oriente. È in questo tempo che, per controllare e difendere gli sbocchi in Lombardia, i Romani fanno costruire nelle valli alpine e nelle Prealpi torri di guardia e castelli. (…) Una piccola fortificazione che poteva accogliere una modesta guarnigione sorgeva su un ben difeso dosso roccioso a Tegna, alle spalle dell’agglomerato locarnese. Era protetta da una doppia cintura di grosse mura e da torri, disponeva di un pozzo e di una cisterna per la raccolta dell’acqua piovana, sorvegliava un orizzonte molto vasto e un buon tratto della strada da Angera-San Bernardino; in R.Ceschi, op. cit., pp. 27-28.
8 G. Vismara, Ticino medievale, A. Dadò, Locarno 1990, p. 20.
9 A. Crivelli, op. cit., p. 116.
10 G. Rossi, E. Pometta, op. cit., p. 43.
11 G. Vismara, op. cit., pp.20-21.
Nel 476 d.C. Odoacre, re degli Eruli, comandante delle milizie barbariche federate dell’Impero, depone l’imperatore Romolo Augustolo senza eleggere nessun successore, segnando così la fine dell’Impero romano d’Occidente e dando vita al primo regno romano-barbarico in Italia.
Si proclama governatore in Italia per conto dell’imperatore d’Oriente Zenone che ne riconosce l’autorità.
L’Impero romano d’Oriente, avendo frontiere più difendibili ed eserciti più forti, riesce a contrastare le incursioni dei barbari che si riversano soprattutto in Occidente.
Per ostacolare ulteriori penetrazioni in Italia, i Bizantini fanno costruire, verso gli sbocchi delle vallate alpine, torri di guardia e castelli1.
La dominazione bizantina si conserva in diverse zone dell’Italia ma in Ticino è di troppo breve durata per lasciare un influsso importante nella regione.
I buoni rapporti tra Odoacre e l’Impero d’Oriente non durano a lungo. L’imperatore Zenone accorda a Teodorico, re degli Ostrogoti, il proprio appoggio e nel 493 d.C. Odoacre viene sconfitto da Teodorico che acquisisce così il potere sull’Italia.
1 [Fortificazioni bizantine erano presenti] a Mesocco, sulla collina di San Michele a Bellinzona, a Chiavenna, su un’altura a Tegna alle spalle di Locarno, sul promontorio di Pontegana tra Chiasso e Balerna (…). Per la stessa ragione erano state fortificate l’isola Comacina sul Lario, l’isola di San Giulio sul lago d’Orta, l’isola Madre sul Verbano, che i barbari , non possedendo flotte, difficilmente avrebbero potuto espugnare; in R.Ceschi, op. cit., p. 35.




Commentaires